“Dalla collina di Posillipo lo sguardo spazia sul Golfo di Napoli e dispiega all’occhio uno spazio aperto ed accogliente. Questo scenario dice bene il senso del nostro incontro di oggi. A partire da un punto preciso del contesto del Mediterraneo, dal nostro particolare e personale vissuto ecclesiale, siamo chiamati, pastori e teologi, a condividere le esperienze e a far emergere una forma base tipica dell’intelligenza comune della fede, che anima il nostro Meridione d’Italia al centro del Mediterraneo”.
Sono le parole con cui don Emilio Salvatore, Preside della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Pftim), ha introdotto, sabato 11 giugno, l’incontro “Vissuti ecclesiali e intelligenza della fede nel contesto del Mediterraneo”, svoltosi a Napoli, nella sede della sezione San Luigi della Pftim. Vescovi e teologi del Sud Italia si sono riuniti, ha spiegato don Salvatore, “per conoscersi, raccontare la propria testimonianza e, magari, immaginare tratti di cammino da fare insieme. È questa modalità che di per sé è mediterranea nel senso che non è esclusiva, ma inclusiva, non ha modelli da imporre, ma testimonianze da valorizzare, non ha un progetto precostituito ma una intenzionalità di comunione nella diversità. Oggi siamo chiamati ad allargare i nostri orizzonti, a fare rete, a progettare possibili scenari di ricerca e di comunione che soprattutto vogliano superare quel divario fra teologia e pastorale spesso pagato più fortemente proprio dalle nostre comunità del Sud, segnate dall’individualismo e dalla disunione”.
Durante l’incontro è stato dato spazio alla narrazione delle esperienze accademiche sia a quelle pastorali. “È stato un bellissimo incontro, c’era un bel clima, sereno, aperto, c’era il piacere di trovarsi. Hanno partecipato una ventina di vescovi, provenienti dalle cinque Regioni ecclesiastiche del Sud. È stato molto bello vedere insieme vescovi e teologi riflettere su cosa significa fare teologia nel contesto del Mediterraneo e soprattutto che vuol dire fare teologia recuperando appieno il rapporto con la vita della Chiesa, con la fede viva delle nostre Chiese del Sud, che sono mediterranee, con tutte le fatiche, ma anche con tutta la ricchezza che viene proprio da questa mediterraneità che condividiamo anche con altri popoli e con altri Paesi che si affacciano su questo mare”, osserva Giuseppina De Simone, coordinatrice del Biennio in Teologia fondamentale della Pftim sezione San Luigi. Oltre all’ascolto di quello che le Facoltà teologiche pugliese e di Sicilia stanno portando avanti sul mediterraneo sul dialogo interreligioso, interculturale, se pensiamo alla Sicilia con tutto il rapporto con il mondo islamico, con i Paesi del Nord Africa, “è stato raccontato – dice De Simone – quello che stiamo facendo da tempo a Napoli con la specializzazione in Teologia fondamentale che è tutta centrata sull’esperienza religiosa nel contesto del Mediterraneo e poi con il gruppo di ricerca che da qualche anno sta lavorando come una sorta di piccolo laboratorio su che cosa vuol dire pensare il Mediterraneo come luogo teologico. C’è dentro questa espressione una densità estrema che va scandagliata:
significa che il Mediterraneo è il luogo a partire dal quale e nel quale siamo chiamati a comprendere e annunciare il Vangelo e che dobbiamo lasciarci interpellare, provocare dalla storia del Mediterraneo, dal suo presente, dalle sfide che lo attraversano. Annunciare il Vangelo vuol dire stare fino in fondo in questa realtà, perché testimoniare il Vangelo vuol dire dall’interno contribuire a che semi del Regno possano affiorare e fiorire. C’è una dimensione di militanza, d’impegno operoso che siamo chiamati ad assumere come Chiesa e come teologi”.
Anche i vescovi hanno raccontato il vissuto delle loro Chiese. “Sentire parlare mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, parlare di un’ecclesiologia dal Mediterraneo è stato bellissimo. Ci ha detto delle esperienze che vivono a Mazara del Vallo nell’accoglienza dei migranti ma anche dei rapporti con i Paesi del Nord Africa, costanti già da molti anni. Ci ha aiutato a capire quanto c’è da imparare dalle Chiese del Mediterraneo, dai Paesi dove il cattolicesimo è minoranza ma che vivono una dimensione di accoglienza, di libertà, di fraternità, di interculturalità, di dialogo aperto, che è molto di più della tolleranza, che riconduce alla freschezza delle origini e quindi apre a un modo di essere Chiesa da cui forse abbiamo da imparare per superare certi schemi rigidi ai quali certe volte ci attacchiamo difendendo delle posizioni che sono fini a se stesse”. E, ancora, mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, ha raccontato della Carta di Leuca, il meeting internazionale dei giovani del Mediterraneo, “sottolineando il valore del territorio. Ci ha evidenziato che anche il programma pastorale bisogna pensarlo a partire dalla terra che si abita. Ci ha parlato di quello che caratterizza la terra del Salento e di come da lì hanno potuto prospettare alcune linee di impegno come diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca”. Tra le altre il Parco culturale ecclesiale “De Finibus Terrae”. Nei racconti dei vescovi, sottolinea la docente, “abbiamo colto, da un lato, la particolarità e anche il dettaglio relativo alla propria Chiesa locale – e anche questo è molto bello perché dice dell’amore e della passione per la propria Chiesa e per la propria gente -; dall’altro, questa apertura di sguardo, questo intuire che partendo dalla particolarità di queste terre mediterranee possiamo immaginare la Chiesa e vivere un annuncio della fede che ritrovi una freschezza, una creatività, una capacità di dialogo, di apertura, di inclusività che si fa testimonianza viva. Ancora si è parlato della necessità di muoversi nella prospettiva del dialogo ecumenico e interreligioso, oppure di un dialogo a tutto campo anche con mondi culturali diversi, oltre che con tradizioni religiose diverse”.
Nei racconti dei vescovi sono emerse “anche le questioni più spinose: le infiltrazioni mafiose e come si debba combattere contro questo, lo spopolamento delle aree interne e quello che significa per la pastorale. Sono tante le sfide, qualcuno ha detto che sono troppe – afferma De Simone -. Ma proprio da questi racconti, fatti con sottolineature diverse, ma nella ricchezza dei temi, abbiamo colto il senso della complessità. Porre sul tappeto questioni può dare un senso di disorientamento, ma la sfida più grande del Mediterraneo, se riprendiamo anche il modo in cui hanno pensato il Mediterraneo Franco Cassano o Edgar Morin, è proprio quella della complessità, saper attraversare la diversità ritrovando ciò che unisce senza azzerare le differenze, anzi mantenendole vive e facendole risplendere. Morin dice che il pensiero mediterraneo, ricalcando i termini del pensiero meridiano di Cassano, è il pensiero della complessità, non è il pensiero lineare che schematizza, che separa, ma è un pensiero che tiene insieme anche gli opposti, per certi versi quindi è un pensiero del paradosso, che è alla fine la logica paradossale del Vangelo. Anche in questo senso il Mediterraneo è un luogo teologico tutto particolare che ci propone una modalità di pensiero affettivo, relazionale, dialogico, simbolico e, non ultimo, paradossale”.
L’auspicio è che “questo dialogo tra vescovi e teologi continui perché bisogna uscire dalla logica della contrapposizione pastorale-teologia e dall’idea che la teologia accademica sia un’altra cosa rispetto alla vita della Chiesa. Ci siamo anche detti che occorre che le tre Facoltà teologiche del Sud continuino questa esperienza, avviata con il progetto di ricerca sul Mediterraneo come luogo teologico e con l’incontro di sabato 11 giugno”. “L’idea – conclude De Simone – è di una rete mediterranea a livello teologico che si interseca alla vita delle Chiese del Sud dell’Italia in particolare, ma non solo. I prossimi appuntamenti saranno in altri luoghi del Sud, per vivere uno scambio, in una modalità tipica del Mediterraneo. Vorremmo tessere un’amicizia viva tra teologi di diverse Facoltà, tra teologi e vescovi. Questa è anche la sfida del cammino sinodale: imparare a camminare insieme, scoprire la bellezza di camminare insieme, pensare insieme, lavorare insieme. La sinodalità, l’essere insieme, è la forma della Chiesa e quindi non può che essere la forma della teologia”.
di Gigliola Alfaro
Fonte: SIR Agenzia d'informazione