lunedì 28 settembre 2015
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«Dobbiamo condannare i nostri giovani per essere cresciuti in questa società? Dobbiamo scomunicarli perché vivono in questo mondo? Bisogna che ascoltino dai loro pastori frasi come: “Una volta era meglio”; “il mondo è un disastro e, se continua così, non sappiamo dove andremo a finire”? No, non credo che sia questa la strada». «Noi pastori siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. Siamo chiamati ad essere padri e madri seguendo il rigore dello stile d’amore di Dio». Ha parlato chiaro papa Francesco ai vescovi del mondo intervenuti a Filadelfia per la giornata conclusiva dell’incontro mondiale con le famiglie affermando che è necessario un cambio di atteggiamento. Partendo dalla costituzione dogmatica sulla natura della Chiesa Lumen gentium il Papa, infatti, ha ripreso ed evidenziato, come già aveva espresso molte volte, che la famiglia è il «luogo fondamentale dell’alleanza della Chiesa con la creazione» e che «senza la famiglia neppure la Chiesa esisterebbe». Anzi «non potrebbe essere quello che deve essere, ossia «segno e strumento dell’unità dell’unità del genere umano». Ma «la nostra comprensione – ricorda Francesco – non deve farci dimenticare la profonda trasformazione del quadro epocale, che incide sulla cultura sociale – e ormai anche giuridica – dei legami familiari e che ci coinvolge tutti, credenti e non credenti. Il cristiano non è “immune” dai cambiamenti del suo tempo». Pertanto Papa Francesco invita i vescovi a guardare alla realtà odierna, a non lamentarsi per la secolarizzazione e il fatto che i giovani non si sposano più: «È in questo mondo concreto, con le sue molteplici problematiche e possibilità, il luogo in cui dobbiamo vivere, credere e annunciare». Tempo fa si viveva in un contesto in cui le affinità dell’istituzione civile e del sacramento cristiano erano corpose e condivise: erano tra loro connesse e si sostenevano a vicenda. Si trovava il coraggio di fidanzarsi. «Ora non è più così – prende atto Francesco – La cultura attuale sembra stimolare le persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno. Non dare fiducia e non fidarsi. Perché la cosa più importante oggi è quella di andare dietro all’ultima tendenza o attività. E questo anche a livello religioso. Ciò che è importante oggi lo determina il consumo». Questo produce, spiega ancora il Papa «una grande ferita. «Oserei dire che una delle principali povertà o radici di tante situazioni contemporanee consiste nella solitudine radicale a cui si trovano costrette tante persone. Inseguendo un “mi piace”, inseguendo l’aumento del numero dei “followers” in una qualsiasi rete sociale, così le persone seguono la proposta offerta da questa società contemporanea. Una solitudine timorosa dell’impegno in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti». «E sarebbe sbagliato» afferma Francesco «interpretare questa cultura del mondo attuale» solo come «disaffezione per il matrimonio e la famiglia in termini di puro e semplice egoismo. I giovani di questo tempo sono forse diventati irrimediabilmente tutti pavidi, deboli, inconsistenti? Non cadiamo nella trappola. Molti giovani, nel quadro di questa cultura dissuasiva, hanno interiorizzato una specie di inconscia soggezione. E sono paralizzati nei confronti degli slanci più belli e più alti, e anche più necessari». Da qui l’invito che il Papa rinnova ai vescovi di tutto il mondo: 1. Come già detto all’incontro con l’episcopato statunitense Francesco riprende: «Noi pastori, sulle orme del Pastore, siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. Guardare la realtà con gli occhi di chi sa di essere chiamato al movimento, alla conversione pastorale. Il mondo oggi ci chiede con insistenza questa conversione. «E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugi, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno». 2. Non si deve investire le nostre energie nello spiegare e rispiegare i difetti dell’attuale condizione odierna e i pregi del cristianesimo, quanto piuttosto nell’invitare con franchezza i giovani ad essere audaci nella scelta del matrimonio e della famiglia. «Un cristianesimo che “si fa” poco nella realtà e “si spiega” infinitamente nella formazione, sta in una sproporzione pericolosa. Direi in un vero e proprio circolo vizioso. Il pastore deve mostrare che il Vangelo della famiglia è davvero “buona notizia” in un mondo dove l’attenzione verso sé stessi sembra regnare sovrana! Non si tratta di fantasia romantica: la tenacia nel formare una famiglia e nel portarla avanti trasforma il mondo e la storia». 3. «Il pastore annuncia serenamente e appassionatamente la Parola di Dio, incoraggia i credenti a puntare in alto. Egli renderà capaci i suoi fratelli e le sue sorelle dell’ascolto e della pratica della promessa di Dio, che allarga anche l’esperienza della maternità e della paternità nell’orizzonte di una nuova “familiarità” con Dio (cfr Mc 3,31-35)». 4. Il pastore è chiamato a vigilare stando in mezzo alla gente, sostenendo la fede e trasmettendo fiducia nella presenza del Signore. «Il pastore vigila sul sogno, sulla vita, sulla crescita delle sue pecore. Questo “vigila” non nasce dal fare discorsi, ma dalla cura pastorale. È capace di vigilare solo chi sa stare “in mezzo”, chi non ha paura delle domande, del contatto, dell’accompagnamento. Il pastore vigila prima di tutto con la preghiera, sostenendo la fede del suo popolo, trasmettendo fiducia nel Signore, nella sua presenza». «Sarebbe bene chiederci – afferma il Papa – se nel nostro ministero pastorale sappiamo “perdere” tempo con le famiglie. Sappiamo stare con loro, condividere le loro difficoltà e le loro gioie? 5. Essere padri e madri è la missione del Buon Pastore nello stile di Dio. Seguire il rigore degli affetti di Dio. «Noi stessi, dunque, accettando umilmente l’apprendistato cristiano delle virtù familiari del popolo di Dio, assomiglieremo sempre di più a padri e madri (come Paolo, cfr 1 Ts 2,7.11), evitando di trasformarci in persone che hanno semplicemente imparato a vivere senza famiglia». «Ci basterà guardare a Gesù, per capire questo (cfr Mt 19,12). La missione del buon Pastore nello stile di Dio – solo Dio può autorizzarlo, non la sua presunzione! – imita in tutto e per tutto lo stile affettivo del Figlio nei confronti del Padre, che si riflette nella tenerezza della sua consegna: in favore, e per amore, degli uomini e delle donne della famiglia umana. Nell’ottica della fede, questo è un argomento prezioso. Il nostro ministero ha bisogno di sviluppare l’alleanza della Chiesa e della famiglia. Altrimenti inaridisce, e la famiglia umana si farà irrimediabilmente distante, per nostra colpa, dalla Lieta Notizia donata da Dio». «Se saremo capaci di questo rigore degli affetti di Dio – afferma infine papa Francesco – usando infinita pazienza, e senza risentimento, verso i solchi non sempre lineari in cui dobbiamo seminarli, anche una donna samaritana con cinque “non-mariti” si scoprirà capace di testimonianza».
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